Isabel pensa a Macondo
Ogni tanto Isabel si fermava. Succedeva raramente, ma a volte succedeva. Si fermava e pensava a Macondo. A qualcuno capiterà di sorridere per questa sua abitudine. Qualcuno se ne domanderà il significato, altri non capiranno affatto.
Lei si fermava e pensava a Macondo. Allora finalmente respirava. Un respiro fatto di aria umida, di pioggia, di profumo di fiori.
Scostava la zanzariera, usciva dalla porta azzurra e camminava lungo la strada principale, fra le bancarelle, fino al porto dove, dall’altra parte del fiume, alcuni uomini stavano disincagliando un asino morto.
A Macondo naturalmente non ci era mai stata e dopo tutto quel posto nemmeno esisteva. Ma era per lei un luogo dell’anima, uno stato d’animo. Chi è stato a Macondo non torna più indietro.
Aveva avuto una settimana difficile. Il suo lavoro le piaceva molto, ma la impegnava troppo. Quella mattina proprio non ce la faceva a staccare la testa da quel suo luogo dell’anima e a mettersi d’impegno per produrre qualcosa di concreto.
Tuttavia, ciò non la preoccupava affatto. Isabel provava una sensazione nuova di libertà. Una volta uno scrittore l’aveva messa in guardia dall’utilizzare l’aggettivo emozionante. Eppure ciò che sentiva si avvicinava molto a quel concetto. Come le farfalle nella pancia; aveva la sensazione che qualcosa stesse per accadere.
Si alzò per la sua tazza mattutina di caffè. Un’abitudine più che una necessità, che però la riportava a sapori lontani ma famigliari. Come quella volta che durante un viaggio, un viaggio vero, qualcuno in una cucina le aveva insegnato ad aggiungere polvere di cannella fresca al suo caffè.
Tutto per lei aveva un sapore evocativo; la sua fervente immaginazione le faceva associare con facilità le piccole azioni quotidiane a ricordi passati che lei sentiva sempre vivi e accesi. Li aveva raccontati così tante volte da non riuscire più a distinguere la realtà dei fatti dalla versione creata dalla sua fantasia.
Il profumo del caffè invadeva in quel momento l’ambiente, litigava con l’aria fresca che entrava dalle finestre. La luce e l’aria erano ciò che Isabel voleva una volta sveglia.
Quella mattina le venne voglia di uscire. Di lavorare proprio non se ne parlava.
Prese un libro fra i tanti che amava leggere contemporaneamente. A chi le chiedeva il motivo di questa strana abitudine, Isabel rispondeva che uno non può prevedere in anticipo come si sentirà e nemmeno cosa avrà voglia di leggere. Meglio avere scelta. La scelta rende la lettura ancora più piacevole.
Indossò un vestito leggero color ocra e delle scarpe basse, prese il suo libro e uscì di casa.
Camminava tra la gente e si sentiva nuova. Si piaceva, perfino. Intorno a lei le persone si muovevano in fretta. Era lunedì mattina e la frenesia si diffondeva tutta attorno, palpabile e a portata di mano. Bastava un attimo per caderci dentro e questo Isabel lo sapeva. In quel momento più che mai sentì che doveva stare con i piedi ben saldi nel terreno polveroso di Macondo per mantenere la lucidità e non lasciarsi derubare di quel momento così suo e così speciale.
Respirava a fondo e camminava. Aveva sicuramente gli occhi accesi e il sorriso sul volto. Lo sapeva specchiandosi nei visi delle persone con cui incrociava lo sguardo.
All’improvviso davanti a lei c’era il Bosco Verticale, quell’edificio che tanto amava, in quel quartiere vivo e che si muoveva. Lì era un po’ come sentirsi coccolati. Apparentemente ognuno si dedicava alla propria attività immerso nei propri pensieri. Tuttavia era come se un filo invisibile li unisse tutti, persone, animali, vegetali e cose. Lei quel filo riusciva a vederlo, d’altronde la sua immaginazione era certamente fuori dal comune.
Seduta, guardava quel filo e si divertiva ad indovinare chi fosse collegato a cosa. Coglieva una parte di colloquio e già credeva di sapere tutto della vita dei due interlocutori. Capiva che in maniera inesorabile, lo stesso filo collegava il figlio al proprio genitore. Come quando un elastico si accorcia e si allunga, ma alla fine torna alla sua natura e allora l’origine è definitivamente ripristinata.
Era terribilmente attratta dai volti. Ne studiava le caratteristiche e immaginava storie dietro di essi. A volte le persone, sconcertate dal suo sguardo insistente, si dimostravano imbarazzate o addirittura infastidite. Tuttavia, le intenzioni di Isabel erano sempre molto semplici, nulla più che pura attrazione per la diversità e l’unicità dei tratti somatici. Era convinta che fra gli esseri viventi, l’uomo fosse la creatura più affascinante e bella e lei ne era terribilmente innamorata. Avrebbe voluto essere tutti loro contemporaneamente. Come un camaleonte, ne assorbiva accenti e atteggiamenti, li faceva propri e sapeva adottarli nelle situazioni più diverse.
Poi, finalmente in pace con il proprio spirito, Isabel aprì il suo libro e inforcò gli occhiali. In quel momento, si sentì definitivamente a Macondo.
Il tempo trascorse lento fino a quando i morsi della fame la riportarono alla realtà e Isabel ritornò ad essere quella seduta sulla panchina.
Chiuse il suo libro e si concesse un pranzo di quelli che piacevano a lei. Pesce fresco e verdure che le dissetavano il palato.
Rinvigorita nello spirito e nel corpo, Isabel si sentiva soddisfatta. Per ora non le serviva altro. La luce, le persone, un buon libro.
Si alzò e si diresse sorridendo verso casa.
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